CAVALESE, IL PUNTO NASCITE SARA’ RIAPERTO

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di Pietro De Godenz e Mauro Gilmozzi

Giustamente, ricordiamo spesso che il Trentino, splendida terra incastonata tra i monti, non è un’isola staccata da quanto la circonda. Questo è ancor più evidente oggi, nel mondo globalizzato.
Quanto avviene nel mondo ha concrete ripercussioni a Trento e nelle nostre valli e dobbiamo pertanto, come cittadini e politici, tenerne conto e agire di conseguenza. Pensiamo al tema sanità: norme e regole nazionali ed europee – si vedano ad esempio l’obbligatorietà per ogni medico delle 11 ore di riposo tra un turno e l’altro o l’ormai famigerato standard dei 500 parti annui per mantenere un punto nascita aperto, stabiliti tra l’altro nel 2010 quando al Governo c’erano Forza Italia e Lega, oggi dimentichi, almeno in Trentino, di quella scelta – stanno incidendo anche in questo istante, e non sempre positivamente, sull’organizzazione e sul modo di curarsi delle trentine e dei trentini.
Vero che la sanità sta cambiando, come la nostra società, che invecchia. Vero che nuove tecnologie ed approfondimenti scientifici richiedono più specializzazione, più integrazione tra i vari settori che attengono alla salute dei cittadini. Giusto che il sistema sanitario richieda appropriatezza, tempestività e sicurezza nella prevenzione, diagnosi e cura delle malattie.
Va ancora preso atto che il sistema chiamato a formare i medici di domani, l’università, ha da alcuni anni un’impostazione caratterizzata dal numero chiuso che, in breve, significa meno medici disponibili e di conseguenza una tendenza all’accentramento di quelli che ci sono – soprattutto se altamente specializzati – nei nosocomi più importanti. Il rischio vero però è quello di pensare che esista una regola universale, un modello buono per tutti, semplicemente da prendere e replicare a Milano come a Trento. Niente di più sbagliato. Soprattutto in materia di sicurezza: infatti, essa non può essere misurata esclusivamente come misura interna alle strutture sanitarie, ma va considerata anche in termini di capacità di accesso alle strutture stesse da parte dei cittadini.
In Trentino, riteniamo giusto dirlo, ci siamo dimostrati meno arrendevoli alla logica dominante della sanità difensiva, logica globale che tutto accentra, ed abbiamo cercato di usare gli strumenti dell’autonomia in modo più coerente e propositivo cercando di non omologarli ed anzi di cercare soluzioni idonee a garantire un modello socio economico diverso, tipico del nostro essere autonomi e autonomisti da secoli; un modello «alpino» e solidale dove la città non tende ad annichilire bensì a mettersi al servizio delle periferie e dove l’istituzione decentra servizi sanitari, scolastici, di mobilità e culturali rendendo possibile la scelta di rimanere a vivere, anche grazie a politiche del lavoro altrettanto lungimiranti, nei nostri paesi e nelle nostre valli senza sentirsi e senza essere abbandonati.
Questo modo di pensare e operare ci ha permesso, non senza scontri e difficoltà di ottenere un primo importante risultato in materia di punti nascita, ovvero la deroga ai 500 parti minimi per mantenere aperto un punto nascita in presenza di particolari condizioni geografiche e di oggettivo isolamento dagli ospedali principali. Senza questa importante novità oggi neppure si parlerebbe di punto nascita a Cavalese o a Cles. Certo era ed è necessario garantire alti standard di sicurezza, difficilmente sostenibili nel medio lungo termine e per questo abbiamo chiesto che, dato il riconoscimento della speciale condizione di alcune strutture sanitarie, vengano studiati standard di sicurezza speciali per situazioni speciali. Standard allo studio a livello nazionale. Ma non abbiamo aspettato, anzi, ci siamo messi a lavorare per reperire medici e attivare i concorsi per assumere ginecologi, pediatri e anestesisti per completare gli organici e riportare i reparti a lavorare al massimo delle loro potenzialità e, ancora, proprio pochi giorni fa di ottenere un altro grande risultato, poter assumere gettonisti e per riaprire il punto nascite di Cavalese.
Sono state date prescrizioni di natura strutturale, che l’Azienda sanitaria sta affrontando e che hanno portato l’assessore Zeni ad immaginare una soluzione a breve. Certamente, ed è doveroso dirlo, questi risultati non li stiamo raggiungendo da soli. Importante è stato il legame della gente di Fiemme e Fassa al loro ospedale, come la fantastica mobilitazione delle mamme e delle Associazioni locali come Parto per Fiemme e la spinta e le sacrosante rivendicazioni degli amministratori delle valli, Sindaci e Presidenti di Comunità in testa, primi interlocutori delle richieste dei nostri compaesani.
Dobbiamo capire però, tutti e nessuno escluso, che proprio ora che ci troviamo davvero a un passo dall’affermare la nostra visione di vita e sanità di montagna, non possiamo sprecare le nostre energie a svilirci tra noi, non possiamo cadere nel tranello di chi dice che la Provincia non fa nulla se i cittadini non occupano le strade, non possiamo accettare, per rispetto delle nostre istituzioni – locali e provinciali – e del grande lavoro fatto da ogni persona coinvolta, che si dica addirittura che si sta chiudendo l’ospedale. Qui non si parla di agire per un pugno di voti, ma di lavorare perché il Trentino non si snaturi e non si adegui al modello standardizzato, di chi a Trento predica bene ma che a Venezia e a Milano razzola male, visto che al di là dei proclami non riusciamo a vedere loro impegni concreti per definire i nuovi standard di sicurezza per i piccoli ospedali di montagna o isolati. Non è vero che il Veneto abbia fatto una legge per tenere aperti i punti nascita, non è vero che abbia ottenuto la disapplicazione degli standard nazionali come qualcuno va strumentalmente dicendo.
Questo è il momento di capire che il Trentino si sta battendo per aver riconosciuta la propria specialità anche nel mondo globale. Non per rivendicazioni localistiche, di chiusura, ma per essere un laboratorio d’eccellenza, una terra autonoma che cerca di trovare le soluzioni più adatte per un territorio alpino dove vigono i principi della cooperazione tra valli e città e dove la sussidiarietà responsabile non è un termine di moda ma un modo concreto di vivere. Sarebbe un peccato gettare tutto alle ortiche e convincersi che il male è il proprio vicino, chi, magari in un ruolo diverso, sta invece lottando per raggiungere il nostro stesso scopo.
In tal senso va invece il nostro ringraziamento al lavoro, non facile, svolto anche dell’Assessore Zeni in questi anni.
Un nemico c’è e si identifica nella globalizzazione, in quel presunto standard che, come spiegato in queste righe, ci si illude possa andare bene per tutti, in quell’atteggiamento che sacrifica la periferia per rendere ipertrofica ma vuota di spirito ed essenza la città, in quell’ipotesi che afferma come la distanza tra Trento e Cavalese sia uguale a quella tra un punto A ed un punto B situato in linea retta nella Pianura padana. La sfida che abbiamo davanti è ancora lunga e difficile. Nessuno si illuda di poterla semplificare.
Il nostro obiettivo è una piccola ma importante rivoluzione, in cui c’è spazio anche per le proteste, ma non può essere una protesta fine a se stessa, buona forse per una campagna elettorale ma nulla di più. In questo senso la riapertura sarà solo un piccolo passo. Solo il riconoscimento della specialità di queste particolari strutture sanitarie, come parte diversa ed integrata nel sistema sanitario nazionale potrà infatti dare una risposta positiva. Sul piatto ci sono le nostre vite e quelle dei nostri figli, che hanno il diritto di nascere, vivere e curarsi in sicurezza, sentendosi tutelati in ogni luogo della Provincia autonoma di Trento.

Pietro De Godenz
Consigliere provinciale dell’Upt
Mauro Gilmozzi
Assessore provinciale dell’Upt


FONTE: Quotidiano L’ADIGE del 23 aprile 2018