Da consigliere provinciale appena rieletto tengo a rimettere sul tappeto il tema che tra i tanti seguiti nella scorsa legislatura mi sta più a cuore: la sanità, in particolare quella nelle valli.
Seguo da vicino l’operato di alcuni miei colleghi, sia di maggioranza che di opposizione, e ho l’impressione che credano ancora di essere in campagna elettorale.
L’ospedale di Cavalese e il punto nascita, appena riaperto – grazie anche, è corretto dirlo, al lavoro fatto dalla scorsa Giunta nella quale erano presenti gli assessori Upt – sono stati in questo avvio di legislatura certamente protagonisti ma non nel modo in cui mi sarei aspettato. Leggendo alcune interrogazioni, poi riprese anche dai media locali, noto un accanimento, un andare a cercare le crepe, uno strumentalizzare quanto succede all’ospedale di Cavalese, mancando completamente di rispetto non solo all’enorme sforzo fatto per riaprire certi servizi ma anche e soprattutto alle mamme e ai cittadini che hanno dimostrato di apprezzare la riapertura con ben 24 parti dalla riapertura,con 3 cesarei e normali criticità – nonostante alcune notizie abbiamo riportato, sbagliando, gravi emergenze. L’inizio del 2019 è stato molto positivo in termine di nascite con un parto circa al giorno e senza particolari problematiche. Stupisce quindi che esponenti del consiglio, su tutti il consigliere Ghezzi, si lancino in richieste alla Giunta tese a dimostrare quanto costi mantenere il servizio, quanto costino i gettonisti in servizio nell’ospedale, quanto sia il costo medio di un parto a Cavalese rispetto a Trento, quante operazioni si siano dovute rimandare (per la cronaca solo 6) a causa della riorganizzazione necessaria imposta a Roma per servire ostetricia. Mi sembra un attacco, un riportare tutto a mere questioni di costi senza ricordare perché si è arrivati a far ripartire il punto nascite e con quale prospettiva.
Giova ripeterlo: il Trentino non è la pianura padana, non è il Veneto, non è luogo che possa permettersi di arrendersi alla logica globale che accentra tutto. Il Trentino è da oltre un millennio terra autonoma ed è proprio usando gli strumenti dell’Autonomia che abbiamo cercato di trovare soluzioni idonee a garantire un modello socio economico differente, tipico appunto di chi conosce le proprie peculiarità e sa governarsi. Mi riferisco al modello che potremo definire “ alpino”, un sistema solidale dove non gira tutto intorno a Trento o Rovereto, alla città, bensì dove la stessa si mette al servizio delle periferie e dove l’istituzione decentra servizi sanitari, scolastici, di mobilità e culturali rendendo possibile la scelta di rimanere a vivere, anche grazie a politiche del lavoro altrettanto lungimiranti, nei nostri paesi e nelle nostre valli senza sentirsi e senza essere abbandonati.
Questo è stato il modo di pensare e operare che ci ha permesso, non senza scontri e difficoltà di ottenere un importante risultato in materia di punti nascita, ovvero la deroga ai 500 parti minimi per mantenere aperto un punto nascita in presenza di particolari condizioni geografiche e di oggettivo isolamento dagli ospedali principali. Senza questa importante novità oggi neppure si parlerebbe di punto nascita a Cavalese o a Cles. Certo era ed è necessario garantire alti standard di sicurezza, difficilmente sostenibili nel medio lungo termine e per questo abbiamo chiesto, dato il riconoscimento della speciale condizione di alcune strutture sanitarie, standard di sicurezza speciali per situazioni speciali, sui quali ora dobbiamo tutti assieme continuare a insistere. Inoltre ci siamo messi a lavorare – tutti – amministratori locali e provinciali, associazioni, infermieri, ostetriche, cittadini, per reperire medici e attivare i concorsi per assumere ginecologi, pediatri e anestesisti per completare gli organici e riportare i reparti a lavorare al massimo delle loro potenzialità ottenendo, altro grande risultato, di poter assumere gettonisti e infine, dopo aver sistemato la questione sala operatoria per le emergenze,il punto nascita è finalmente tornato in funzione.
E’ doveroso dire che questi risultati non li abbiamo raggiunti da soli nella scorsa legislatura come centrosinistra o non li ha raggiunti Fugatti in tre mesi. Sono stati raggiunti assieme da tutti quelli che se ne sono occupati. Fondamentale è stato il legame delle persone di Fiemme e Fassa e del bacino dell’Avisio al loro ospedale, come la fantastica mobilitazione delle mamme e delle Associazioni locali come Parto per Fiemme e la spinta e le sacrosante rivendicazioni degli amministratori delle valli, Sindaci e Presidenti di Comunità in testa, primi interlocutori delle richieste dei nostri compaesani. Per tutto questo, auspico che i consiglieri provinciali, sia di opposizione che di maggioranza, la smettano di speculare a vario titolo sull’ospedale e quindi sulla pelle della nostra gente e remino tutti nella stessa direzione, lavorando a Trento come a Roma per vedere riconosciuta e rispettata la nostra specialità.
Rimarremo infatti davvero autonomisti, autonomi e capaci di trovare le migliori soluzioni per chi vive in Trentino solo se confermeremo con orgoglio di essere un territorio alpino che fa della cooperazione tra città e valli e della sussidiarietà responsabile i primi protagonisti della propria azione.
Cons. Pietro De Godenz