La Consulta per la riforma dello Statuto di Autonomia e la Biblioteca comunale di Trento hanno organizzato una serie di incontri per discutere di autogoverno, solidarietà e territorio, i tre cardini della nostra specialità. Autogoverno inteso come «radici salde» e capacità di scegliere per il bene comune come destinare le risorse.
Solidarietà, ovvero propensione a non lasciare indietro nessuno e anzi ad accogliere; territorio come mosaico di diversità e quindi di ricchezze culturali e linguistiche.
La Casa dell’Autonomia è stata fortemente voluta, progettata, costruita e resa più bella in questi settant’anni post-bellici che hanno messo a sistema una vocazione una storia di autogestione che – con il principato vescovile, le magnifiche comunità, le regole feudali, gli usi civici (assetti fondiari collettivi) – aveva improntato secoli e secoli della nostra vicenda storica di terra di montagna. In Trentino sul piano storico-geografico abbiamo organizzato la nostra società, non a caso, in «ville», cellule intermedie tra l’idea del solitario maso chiuso di area tedesca e l’organizzazione più estesa dei borghi tipicamente italiani. Nelle «ville» le case si sostenevano una con l’altra, si mettevano in comune attrezzi, fontana, forno. Così abbiamo costruito una terra viva e piacevolmente vivibile, tenace e coesa. E la nostra montagna non si è spopolata, come la vicina montagna veneta o lombarda.
Le Regioni sono state la croce e la delizia dell’assetto amministrativo italiano, a volte severe con lo Stato centrale molto più che con se stesse. È piuttosto evidente, invece, che sia in Trentino che in Alto Adige il protagonismo di territori anche diversi tra loro ha portato crescita, sviluppo, quel «miracolo» che ha cambiato in meglio il Paese una sessantina di anni fa, e il Trentino, e ancor più la Provincia di Bolzano, un decennio dopo. Poi sono state le nostre due province autonome a viaggiare più veloci, ad anticipare idee, soluzioni, diventando laboratorio istituzionale, sociale, politico per tutto il Paese.
L’ultima stagione, quella seguita alla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, è stata quella dell’invidia, degli «attacchi» in ordine sparso e spesso «disinformati» alla nostra autonomia, ma anche di una certa «stanchezza» da parte di noi stessi trentini, di una certa propensione a considerare scontata e immutabile la nostra autonomia.
Si è parlato di federalismo, di regionalismo a geometria variabile, negli ultimi vent’anni, ma il vento che ha soffiato con raffiche e refoli intermittenti è stato – ultimamente – quello del centralismo.
Lo storico dell’economia Andrea Leonardi, in uno degli incontri in biblioteca organizzati dalla Consulta, ha sottolineato il nesso tra istanza autonomistica e idea cooperativa: entrambe legate a una «volontà di riscatto» della popolazione locale. Economia e società sono oggi le due sfide più grandi dell’Autonomia, che deve saper connettere le persone al di là dei vantaggi personali o di qualche gruppo ristretto.
Autonomia, competenze e risorse. Veneto e Lombardia, seppure con modalità differenti, il prossimo 22 ottobre chiameranno rispettivamente 3,7 e 7,5 milioni di cittadini a esprimersi nel referendum consultivo per l’autonomia. Il referendum lombardo sarà valido anche senza quorum, quello veneto (in ossequio alla legge regionale) dovrà superare l’asticella del 50% dei voti degli aventi diritto. Agli elettori veneti verrà chiesto se vogliono che alla loro Regione siano «attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», mentre ai cittadini lombardi il quesito postula a priori una «specialità» e chiede «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse».
Veneto e Lombardia, nonostante un peso demografico, industriale ed economico assolutamente non paragonabile con le piccole province autonome di Trento e Bolzano, hanno con noi più punti di contatto di quanti siamo abituati a riconoscere. Innanzitutto vaste «terre alte» (a volte trascurate a favore della più popolosa pianura), minoranze linguistiche (Veneto), tradizione storica di autogoverno (Repubblica di Venezia), un confine alpino (Lombardia), capacità di innovazione, senso di identità, scambi reciproci in tema di ricerca e mobilità studentesca. A prescindere da cosa intendano le amministrazioni regionali con noi confinanti per autonomia, a prescindere anche dagli esiti e dagli spazi di manovra che questi referendum consentiranno istituzionalmente, dobbiamo prendere atto che i nostri vicini sono partner importanti per costruire soluzioni ai problemi comuni, che si possono creare fertili network di collaborazione sui fronti della salute (servizi sanitari in zone di montagna), turismo (con scambio di flussi), infrastrutture e trasporti (aeroporti, ferrovia delle Dolomiti), ricerca e università (come già fatto positivamente a livello Euregio, economia (reti di imprese)). Guardiamo dunque con coraggiosa attenzione ai referendum del 22 ottobre.
Perché anche Lombardia e Veneto, come noi, hanno un elettorato in parte scontento e disilluso, e hanno i mezzi per «seminare pensiero, sognare futuro e costruire novità», per citare le parole dell’arcivescovo Tisi ricordate dal segretario dell’Upt Tiziano Mellarini all’incontro «Verso il nuovo partito». Ma non dobbiamo dimenticare che l’autonomia non è un’ideologia o un insieme di leggi, ma un modo di essere di una comunità.
Piero Agostini oltre trent’anni fa scriveva che immaginava il Trentino-Alto Adige «come un poggio privilegiato, dal quale sia possibile cogliere prima del tempo e prima di altre realtà i grandi flussi del pensiero. I tramonti del mondo, certo. Ma anche le albe».
Gianpiero Passamani – È capogruppo regionale dell’Unione per il Trentino
FONTE: Quotidiano L’ ADIGE dell’8 agosto 2017